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POST017:Tu_si_que_vales(daterettalloziogerry)

lunedì, marzo 2nd, 2015

“I gruppetti con la chitarra sono finiti sig. Epstein. Torni pure a vendere dischi a Liverpool”. Questa infelice frase con cui i Beatles furono rifiutati dalla Decca un botto di tempo fa ha rovinato generazioni di musicisti. Questa storia che “anche ai migliori han detto di no all’inizio!” mi perseguita. Se Dick Rowe non fosse stato ciucco quel giorno ora a tutti quei mongoloidi che credono di essere delle rockstar si potrebbe dire: “Eh mi sa che fai cagare, il talento si riconosce subito. Pensa ai Beatles”.

Uè, capiamoci. Io sono il più grande sostenitore dell’insulto al discografico, nonché grande ammiratore del disprezzo verso la critica musicale. L’arte in generale è un’espressione personale di qualcosa di intimo, un’emozione che viene ostentata, impressa nel tempo e nello spazio tramite uno strumento casuale e occasionale (una penna, un pennello, un pianoforte). Trovo curioso che esistano persone retribuite per pontificare ciò che è giusto o sbagliato in questa materia. Parliamoci chiaro: adoro passare ore a seppellire di parole i malcapitati interlocutori che hanno avuto la cattiva idea di introdurre il discorso “musica” o “cinema” in una discussione fino a quel momento civile, a volte (molto spesso ad essere sinceri) con la presunzione di essere più colto e preparato di loro sull’argomento. Accade anche che mi scappino frasi tipo “quello è una merda” oppure “inascoltabile inguardabile roba per deficienti sociopatici”. Quello che cerco di fare è in qualche modo quello di opinare e confrontarmi, catalogare, indicizzare ciò che penso rapportato ad un contesto. Detto in klingon: faccio del soffoco. Però è divertente.

Dick Rowe dopo aver mandato a stendere i Beatles ha scritturato gli Stones. Del tipo: figa non è che mi son proprio rincoglionito, dai. All’epoca i discografici avevano il mondo spalancato, cercavano di vedere più lungo degli altri, cercavano il talento. E’ sempre stata una questione di soldi, chiaro, ma avevano una ragione di esistere, una predisposizione a capire quel tipo di mercato e scovare chi aveva i numeri per sfondare. La guerra si combatteva sempre sullo stesso terreno: il peso artistico. C’è un particolare che caratterizza quel tipo di mentalità, quella visione così ampia dell’arte che ha portato in vetta alle classifiche gente come Bowie, I Joy Division o gli stessi Stones. Il difetto. Quello macroscopico. E’ lì che abbiamo perso la guerra.

I talent show hanno fatto il funerale ai difetti. Morti già da un pezzo eh, ma giusto per non sbagliare lo abbiamo certificato. Il messaggio che passa oggi è: puoi migliorare, torna la prossima volta. Dopotutto anche ai Beatles han detto di no. Come se fosse un’interrogazione di geografia. Hai dei difetti, correggili, devi migliorare. Cioè provate a immaginare i Ramones a un reality musicale. Dovete migliorare. Bontà di Dio. Io sono uno che adora i consigli, ma ho imparato a selezionare le persone da cui ascoltarli. Ecco il punto. Dick Rowe era uno che la sapeva lunga, che poi abbia preso una cantonata è un altro discorso. Se domani me lo trovassi in studio e dopo aver ascoltato un po’ di roba mi dicesse: “Sig. **** lei dovrebbe aprire un negozio di dischi a Liverpool” probabilmente lo ascolterei. Voglio dire: è Dick Rowe, non Gerry Scotti. Quello era il mondo reale. Noi viviamo nel mondo reale, non a “tu si que vales”. Eccheccazzo.

Dunque seguendo il perverso pensiero che ora va per la maggiore tutti dovrebbero cantare come Whitney Houston o Stevie Wonder per essere degli artisti. Cioè ragazzi, parliamoci chiaro. A me Stevie Wonder fa cagare. Preferisco Billy Corgan. O Brian Molko. Il difetto. Quello che impedirebbe a Tom Waits di andare a cantare nel coro di sarabanda. O a Jimmy Page di suonare nell’orchestra di Sanremo. Dovete prendere con le pinze i consigli. A volte non si può migliorare. A volte non si deve migliorare. Quando si presenta il proprio lavoro ad un produttore, ad un’etichetta o lo si sottopone ad un giudizio critico interno alla band, il vostro interlocutore dovrà avere il fiuto critico per essere costruttivo. Magari siete dei cani a cantare ma scrivete meglio di Bob Dylan. Magari suonate il piano come una scimmia ma state inventando un genere. Oppure siete brutti ma siete i nuovi Happy Mondays. Il terreno di scontro non deve essere rapportato ai canoni della musica mainstream del momento, altrimenti avete perso in partenza. Perché quelli sono degli standard, dei binari a senso unico che castrano lo spirito artistico. Mai, mai, mai venire a patti con la propria onestà intellettuale, altrimenti non siete pronti per un’autoproduzione. I compromessi lasciateli a Mengoni e quella gentaglia lì. Che son dei delinquenti.

Poi c’è sempre un’altra possibilità. Quella che facciate veramente cagare. A quel punto è inutile migliorare. Potete sbattere la testa per sempre contro un muro di gomma. Magari non avete alcun talento e fidatevi, qualcuno ve lo farà notare. Quando i Dick Rowe di sta minchia che vi consiglieranno di cambiare mestiere (o hobby che sia) diventeranno quattro, cinque, dieci, allora è il caso che vi facciate due domande. Perché per un discografico, anche di quelli con i coglioni, pronti a scommettere su qualcuno, l’obiettivo rimane quello di vendere un prodotto. O regalarlo, cambia poco, l’idea è che qualcuno la ascolti, quella roba. Poco male, potrete per sempre continuare a fare dei dischi per voi, e solo per voi. Oppure iscrivetevi a The Voice. Magari piacete allo zio Gerry. O magari no ma, dopotutto, anche ai Beatles all’inizio han detto di no.